A trent’anni di distanza dall’inizio del fenomeno Medjugorje, il paesino della Bosnia Erzegovina dove a partire dal giugno 1981 un gruppo di ragazzi affermò di vedere la Madonna, vengono alla luce i rapporti della polizia segreta comunista che dimostrano il pesante intervento del regime. Le autorità considerarono le apparizioni «uno strumento dell’azione nemica controrivoluzionaria, indirizzata contro la fraternità e unità dei popoli della Jugoslavia» e cercarono di soffocare quanto stava accadendo attraverso intercettazioni, ricatti, minacce e la fabbricazione di falsi dossier, in particolare contro il frate francescano Jozo Zovko, che seguiva i veggenti. Finendo per condizionare negativamente anche il giudizio di vari esponenti della Chiesa locale.
A rendere noti i documenti è il giornalista Žarko Ivković, autore di una sezione del libro «Il mistero di Medjugorje» pubblicato dal principale quotidiano croato, Vecernji List. Ivković ha lavorato negli archivi dell’Agenzia d’informazione della Bosnia-Erzegovina consultando le carte della polizia segreta jugoslava, il potente Servizio di sicurezza SDB (Služba državne bezbjednosti).
Per spaventare la gente e impedire raduni a Medjugorje, i comunisti di Čitluk, organizzarono innanzitutto dei convegni per le unità locali dell’Erzegovina, che venivano istruite presentando i francescani come nemici del comunismo e, in particolare, padre Jozo come il regista delle «apparizioni inventate» con cui seduceva «il popolo ed i bambini». I pellegrini, però, continuarono ad aumentare e così il governo dichiarò lo stato di emergenza: iniziarono le perquisizioni dei fedeli e dei preti; da Sarajevo arrivò la polizia speciale che proibì l’accesso al monte delle apparizioni. Infine furono coinvolti anche i servizi segreti. Dai documenti emerge che tra gli obiettivi principali c’era quello di «rendere passivi» i protagonisti degli avvenimenti. Gli agenti dell’SDB iniziarono a spiarli, a raccogliere informazioni sulla loro «attività nemica» per costruire dossier che li compromettessero.
In particolare colpisce un rapporto del novembre 1987, dedicato all’operazione «Crnica» (nome originario della collina delle apparizioni, oggi nota come Podbrdo). L’estensore del documento descrive al suo superiore i passi compiuti per compromettere alcuni frati considerati gli ideatori delle apparizioni. Lo strumento principale utilizzato appare essere lo stesso vescovo di Mostar, monsignor Pavao Žanić, il quale, dopo essersi mostrato inizialmente aperto verso la possibilità che si trattasse di un evento soprannaturale, ne era diventato il più deciso nemico. Si apprende ora che la sua avversione era stata alimentata da una serie di documenti costruiti dagli stessi uomini dell’SDB, che furono fatti circolare tra Mostar, il Vaticano e alcuni Paesi europei. In particolare si attribuivano avventure amorose a padre Jozo Zovko, tenuto sotto stretto controllo dalla polizia segreta ancora prima delle apparizioni di Medjugorje a motivo della presa che avevano le sue omelie sui giovani, e che sarà anche arrestato e malmenato.
La seconda parte del piano, sfruttando l’antico dissidio esistente in Erzegovina tra clero secolare e religiosi francescani, prevedeva di creare il caos nella Chiesa locale mettendo tutti contro tutti. Dal rapporto emerge come il vescovo Žanić fosse pronto a recepire qualsiasi documento contro i francescani e contro le apparizioni, anche se di dubbia provenienza. «Da questo documento – osserva Ivković – risulta che la polizia segreta era a conoscenza delle posizioni del vescovo e che ha direttamente influenzato le sue azioni».
Anche questi documenti saranno vagliati dalla commissione della Santa Sede chiamata a pronunciarsi su Medjugorje, che Benedetto XVI due anni fa ha affidato alla guida del cardinale Camillo Ruini.
«Già all’epoca non era certo difficile intuire che il regime comunista avesse cercato di interferire pesantemente sui fatti di Medjugorje. Questi documenti dovrebbero far riflettere la Chiesa sulle condizioni difficili e certamente non serene in cui si trovava ad agire il vescovo di Mostar», commenta Antonio Socci, giornalista e scrittore, autore di un libro dal titolo quasi uguale a quello pubblicato da Vecernji List («Mistero Medjugorje», edizioni Piemme). Le rivelazioni che emergono dagli archivi della polizia segreta non lo sorprendono.
«All’inizio – spiega Socci – i frati francescani di Medjugorje erano molto duri con i veggenti, temevano che si trattasse di una trappola, di un’invenzione del regime. Mentre il vescovo di Mostar, Pavao Žanić, era più comprensivo e aperto. Andò anche a celebrare messa a Medjugorje e difese i ragazzi. Poi dal gennaio 1982 cambiò completamente la sua posizione. La Chiesa dovrebbe riflettere sul fatto che certe posizioni non furono certo prese in un clima sereno, ma pesantemente condizionato».
«I ragazzi – aggiunge lo scrittore - vennero intimiditi, minacciati. Vennero minacciate le loro povere famiglie che rischiavano di perdere il lavoro. Mi raccontava la veggente Mirjana che la polizia veniva a prelevarla a scuola e che interrogava gli amici con i quali era uscita. A quel tempo nessuno pensava che il comunismo sarebbe caduto: la prospettiva per quei ragazzi era quella di una vita sempre sotto controllo e sotto pressione da parte del regime. Eppure non si sono smossi di un millimetro, continuando a raccontare ciò che avevano visto e continuavano a vedere».
Quale peso ebbe questo intervento del regime nel giudizio iniziale delle autorità ecclesiastiche locali? Socci risponde: «In Vaticano c’era un uomo che conosceva bene certi metodi per averli vissuti sulla sua pelle, e non c’è mai cascato. Si chiamava Papa Wojtyla. Ma il tentativo di demolire Medjugorje può aver fatto breccia su coloro che non conoscevano gli usi della polizia comunista, e così il fango gettato addosso dal regime a questi ragazzi e a chi li seguiva in parrocchia ha ottenuto qualche effetto».
Il vescovo di allora, Žanić, era contrario. Ma anche il suo successore, l’attuale pastore di Mostar Ratko Peric, è della stessa idea, e cioè contrarissimo alle apparizioni. «Rispetto la posizione di monsignor Peric – conclude Socci – ma mi chiedo come possa essere così decisamente contrario senza aver mai voluto incontrare né interrogare i veggenti. Il fatto che non sia stato chiamato a fare parte della commissione istituita dal Papa mi sembra eloquente».
Fonte: articolo di A. Tornielli su La Stampa del 9 settembre 2011
Commento dello stesso Tornielli sul suo Blog “Sacri Palazzi” in un post della stessa data:
La polizia segreta contro Medjugorje
Cari amici, su La Stampa di ieri ho pubblicato un articolo dedicato a Medjugorje. Non per entrare nel merito dell’autenticità delle apparizioni (in un thread precedente vi ho raccontato l’esperienza che ho vissuto lo scorso marzo, quando per la prima volta mi sono recato nel famoso paesino dell’Erzegovina), quanto piuttosto per documentare le pressioni, le minacce e i tentativi di condizionare il giudizio della Chiesa avvenuti da parte del regime comunista jugoslavo.
A trent’anni di distanza dall’inizio del fenomeno Medjugorje, il paesino della Bosnia Erzegovina dove a partire dal giugno 1981 un gruppo di ragazzi affermò di vedere la Madonna, vengono alla luce i rapporti della polizia segreta comunista che dimostrano il pesante intervento del regime. Le autorità considerarono le apparizioni «uno strumento dell’azione nemica controrivoluzionaria, indirizzata contro la fraternità e unità dei popoli della Jugoslavia» e cercarono di soffocare quanto stava accadendo attraverso intercettazioni, ricatti, minacce e la fabbricazione di falsi dossier, in particolare contro il frate francescano Jozo Zovko, che seguiva i veggenti. Finendo per condizionare negativamente anche il giudizio di vari esponenti della Chiesa locale.
A rendere noti i documenti è il giornalista Žarko Ivković, autore di una sezione del libro «Il mistero di Medjugorje» pubblicato dal principale quotidiano croato, Vecernji List. Ivković ha lavorato negli archivi dell’Agenzia d’informazione della Bosnia-Erzegovina consultando le carte della polizia segreta jugoslava, il potente Servizio di sicurezza SDB (Služba državne bezbjednosti).
Per spaventare la gente e impedire raduni a Medjugorje, i comunisti di Čitluk, organizzarono innanzitutto dei convegni per le unità locali dell’Erzegovina, che venivano istruite presentando i francescani come nemici del comunismo e, in particolare, padre Jozo come il regista delle «apparizioni inventate» con cui seduceva «il popolo ed i bambini». I pellegrini, però, continuarono ad aumentare e così il governo dichiarò lo stato di emergenza: iniziarono le perquisizioni dei fedeli e dei preti; da Sarajevo arrivò la polizia speciale che proibì l’accesso al monte delle apparizioni. Infine furono coinvolti anche i servizi segreti. Dai documenti emerge che tra gli obiettivi principali c’era quello di «rendere passivi» i protagonisti degli avvenimenti. Gli agenti dell’SDB iniziarono a spiarli, a raccogliere informazioni sulla loro «attività nemica» per costruire dossier che li compromettessero.
In particolare colpisce un rapporto del novembre 1987, dedicato all’operazione «Crnica» (nome originario della collina delle apparizioni, oggi nota come Podbrdo). L’estensore del documento descrive al suo superiore i passi compiuti per compromettere alcuni frati considerati gli ideatori delle apparizioni. Lo strumento principale utilizzato appare essere lo stesso vescovo di Mostar, monsignor Pavao Žanić, il quale, dopo essersi mostrato inizialmente aperto verso la possibilità che si trattasse di un evento soprannaturale, ne era diventato il più deciso nemico. Si apprende ora che la sua avversione era stata alimentata da una serie di documenti costruiti dagli stessi uomini dell’SDB, che furono fatti circolare tra Mostar, il Vaticano e alcuni Paesi europei. In particolare si attribuivano avventure amorose a padre Jozo Zovko, tenuto sotto stretto controllo dalla polizia segreta ancora prima delle apparizioni di Medjugorje a motivo della presa che avevano le sue omelie sui giovani, e che sarà anche arrestato e malmenato.
La seconda parte del piano, sfruttando l’antico dissidio esistente in Erzegovina tra clero secolare e religiosi francescani, prevedeva di creare il caos nella Chiesa locale mettendo tutti contro tutti. Dal rapporto emerge come il vescovo Žanić fosse pronto a recepire qualsiasi documento contro i francescani e contro le apparizioni, anche se di dubbia provenienza. «Da questo documento – osserva Ivković – risulta che la polizia segreta era a conoscenza delle posizioni del vescovo e che ha direttamente influenzato le sue azioni».
Anche questi documenti saranno vagliati dalla commissione della Santa Sede chiamata a pronunciarsi su Medjugorje, che Benedetto XVI due anni fa ha affidato alla guida del cardinale Camillo Ruini.
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