Ieri sera alle veglia di preghiere del Gruppo Regina della Pace, Padre R. Coggi ha commentato il Vangelo del giorno
+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13, 10-17
In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?».
Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!».
riferendo il pensiero espresso sulle parabole di Papa Benedetto XVI, come da lui espresso nel suo libro “Gesù di Nazaret”.
Quel pensiero mi ha particolarmente colpito e ringrazio sempre Padre R. Coggi per le sue Omelie sempre belle e semplici, ma anche complete e profonde.
Ho voluto quindi riportare in questo post le parole di Benedetto XVI sull’argomento, trascrivendo alcune pagine del “Gesù di Nazaret”.
NATURA E SCOPO DELLE PARABOLE
Le parabole costituiscono senza dubbio il cuore della predicazione di Gesù. Al di là del mutare delle civiltà, esse ci toccano ogni volta di nuovo per la loro freschezza e umanità. Joachim Jeremias, a cui siamo debitori di un libro fondamentale sulle parabole di Gesù, ha fatto giustamente notare che il confronto delle parabole di Gesù con il linguaggio figurato dell’apostolo Paolo o con le similitudini dei rabbini evidenzia una «marcata originalità personale, una singolare chiarezza e semplicità, una padronanza inaudita della forma» (p. 6). Nelle parabole — anche a partire dalla singolarità linguistica in cui traspare il testo aramaico — sentiamo immediatamente la vicinanza a Gesù, al modo in cui visse e insegnò. Ma, nello stesso tempo, succede anche a noi quello che succedeva ai contemporanei di Gesù e ai suoi stessi discepoli: dobbiamo sempre di nuovo chiedergli che cosa ci vuole dire con ognuna delle parabole (cfr. Mc 4,10). Lo sforzo per la corretta comprensione delle parabole attraversa tutta la storia della Chiesa
… omissis …
Se così ci è dato di interpretare tutte le parabole come inviti nascosti e multiformi a credere in Lui come al «regno di Dio in persona», si frappone sulla nostra strada una parola di Gesù a proposito delle parabole, che ci sconcerta. Tutti e tre i sinottici raccontano che Gesù, ai discepoli che lo interrogavano sul significato della parabola del seminatore, avrebbe dapprima dato una risposta generale sul senso dell’annuncio in parabole. Al centro di questa risposta di Gesù sta una parola di Isaia (cfr. 6,9s), che i sinottici riportano in diverse varianti. Il testo di Marco secondo la traduzione accuratamente ponderata di Jeremias dice: «A voi [cioè alla cerchia dei discepoli] Dio ha concesso il segreto del regno di Dio; a quelli che sono di fuori tutto è misterioso, affinché essi (come sta scritto) “guardino, ma non vedano; ascoltino, ma non intendano; a meno che si convertano e Dio perdoni loro”» (Mc4,12;Jeremias, p. 11). Che cosa significa tutto questo? Le parabole del Signore servono forse a rendere inaccessibile il suo messaggio e a riservarlo solo a una piccola cerchia di prescelti per i quali è Lui stesso a interpretarlo? Forse che le parabole non vogliono aprire, ma chiudere? Dio è forse di parte, così da non voler il tutto — tutti — ma solo un’élite?
Se vogliamo comprendere questa misteriosa parola del Signore, dobbiamo leggerla a partire dal testo di Isaia che Egli cita e dobbiamo leggerla nella prospettiva della sua via personale di cui Egli conosce l’esito. Con questa frase Gesù si colloca nella linea dei profeti - il suo destino è quello dei profeti. Il testo di Isaia nel suo insieme è ancora molto più severo e impressionante dell’estratto citato da Gesù. Nel Libro di Isaia si legge: «Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito» (6,10). Il profeta fallisce: il suo messaggio contraddice troppo l’opinione comune, le abitudini correnti. Solo attraverso il fallimento la sua parola diventa efficace. Questo fallimento del profeta incombe come oscura domanda sull’intera storia di Israele e si ripete in certo qual modo di continuo nella storia dell’umanità. E soprattutto sempre di nuovo anche il destino di Gesù Cristo: Egli finisce sulla croce. Ma proprio dalla croce deriva la grande fecondità.
Ed ecco svelarsi qui, all’improvviso, anche il rapporto con la parabola del seminatore, che nei sinottici è il contesto in cui si trova tale parola di Gesù. Colpisce quale importanza assuma l’immagine del seme nell’insieme del messaggio di Gesù. Il tempo di Gesù, il tempo dei discepoli, è il tempo della semina e del seme. Il «regno di Dio» è presente come un seme. Il seme, visto dall’esterno, è una cosa piccola. Si può non vederlo. Il granello di senape — immagine del regno di Dio — è il più piccolo di tutti i semi eppure contiene in sé un albero intero. Il seme è presenza del futuro. Nascosto dentro il seme c’è già quello che verrà. E promessa già presente nell’oggi. Il Signore ha riassunto le molteplici parabole dei semi la domenica delle Palme e ne ha svelato il pieno significato: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Egli stesso è il granello. Il suo «fallimento» sulla croce è proprio la via per giungere dai pochi ai molti, a tutti: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
Il fallimento dei profeti, il suo fallimento, appare ora sotto un’altra luce. E proprio la via per ottenere «che si convertano e Dio perdoni loro». E appunto il modo in cui ora a tutti vengono aperti gli occhi e gli orecchi. Sulla croce le parabole vengono decifrate. Dice il Signore nei discorsi d’addio: «Queste cose vi ho dette in similitudini [in linguaggio velato]; ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre» (Gv 16,25). Così le parabole parlano in modo nascosto del mistero della croce; non solo ne parlano — ne sono esse stesse parte. Infatti, proprio perché lasciano trasparire il mistero divino di Gesù, suscitano contraddizione. Proprio laddove giungono all’estrema chiarezza, come nella parabola dei vignaioli omicidi (cfr. Mc 12,1-12), si trasformano in stazioni sulla via verso la croce. Nelle parabole, Gesù non è solo il seminatore che sparge il seme della parola di Dio, ma è seme che cade nella terra per morire e così dare frutto.
… omissis …
Così da ultimo le parabole sono espressione del nascondimento di Dio in questo mondo e del fatto che la conoscenza di Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità — è una conoscenza che è tutt’uno con la vita stessa; una conoscenza che non può darsi senza «conversione». Perché nel mondo segnato dal peccato baricentro intorno a cui gravita la nostra vita è caratterizzato dall’attaccamento all’io e al «si» impersonale. Questo legame deve essere spezzato per schiudersi a un nuovo amore che ci trasferisca in un altro campo gravitazionale e ci faccia così vivere in modo nuovo. In questo senso la conoscenza di Dio non è possibile senza il dono del suo amore resosi visibile; ma anche il dono deve essere accettato. In questo senso nelle parabole si manifesta l’essenza stessa del messaggio di Gesù. In questo senso il mistero della croce è inscritto nell’intima natura delle parabole.
Fonte : Benedetto XVI – Gesù di Nazaret (estratto da pagg. 219-230)
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